Teatro
3.5/5
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Títulos en esta serie (20)
- La morte civile
5
Questo dramma, rappresentato per la prima volta nel 1861, suscitò grande scalpore per lo scottante tema affrontato: il matrimonio deve essere considerato indissolubile anche in caso di "morte civile" di uno dei contraenti? Vi si presenta infatti la dolorosa situazione di una donna che ha il marito all'ergastolo, e quella dell'ergastolano stesso che, fuggito dal carcere, si sente come un "morto", un intruso fra coloro che ama. Nel testo viene presentato il dramma della coppia che si trova di fronte ad una realtà che non riesce ad essere compresa; persone che non si riconoscono. E si pone il grande problema del cosa fare di fronte a tutto questo. Cavallo di battaglia di Ermete Zacconi, quest'opera conserva ancora integri tutti i suoi valori teatrali.
- La moglie ideale
1
"La moglie ideale" è l'opera di maggior successo di Marco Praga, figlio di Emilio, poeta scapigliato milanese molto importante. Fu personaggio che ricoprì molte cariche pubbliche significative tra cui, ricordiamo, direttore della SIAE. La sua produzione si concentra soprattutto sulla scrittura di commedie, e tutte hanno avuto un buon successo. La tematica prevalente, molto in voga all'epoca, si concentrava verso un tema domestico-borghese contrassegnata quasi sempre dal motivo morale del triangolo adulterino. Anche nel caso de "La moglie ideale", Praga descrive le vicende della protagonista, Giulia, che divide equamente il suo animo e la sua giornata fra la famiglia e l'amante, secondo una morale che doveva apparire scandalosa al pubblico puritano di fine secolo '800. Giulia diventa "l'eroina" di questo triangolo decidendo di accettare il solo rapporto che viene ricambiato. Questa commedia, andata in scena con notevole successo, venne rappresentata per la prima volta da Eleonora Duse al Teatro Gerbino di Torino, l'11 novembre 1890.
- L'uomo che incontrò se stesso
3
Nella turbinosa atmosfera intellettuale degli anni del primo dopoguerra, che sospinse su strade contrastanti i più vivi ingegni artistici del momento, Antonelli fu di tutti il più paradossale e il più fantasioso. Ripudiando tutto il vecchio repertorio borghese, l'aspirazione era rivolta al rinnovamento dei contenuti attraverso la spregiudicata ricerca di nuove forme teatrali, inclini alla satira e all'umorismo. Affrancandosi dal convenzionalismo e dagli schemi dell'intrattenimento borghese in nome della libera invenzione fantastica, Antonelli si spinge a costruire un teatro che smette di preoccuparsi di espedienti come la coerenza e la logicità, e che al contrario mira a una vera e propria dissoluzione dei personaggi, dei tempi, delle vicende, lasciandosi guidare da un'ironia spesso polemica. Il suo teatro, che si ricollega a quello del "grottesco", riduce il contrasto pirandelliano tra essere e apparire ad un'amara, fantasiosa satira delle illusioni. Proprio con la commedia L'uomo che incontrò se stesso, Antonelli scrisse uno dei testi fondamentali dello stile "grottesco", indicando nell'uomo scontento di sé a cui viene concesso di ripetere la propria vita una sorta di nuovo modello drammatico e antropologico.
- I mariti
2
Dopo alcune commedie giovanili, ottenne un pieno successo con I mariti (1867), in cui, con una tecnica per allora insolita, non d'intreccio né propriamente di caratteri, ma per quadri d'insieme, esaltò come ideale nuovo le buone virtù borghesi: la critica fu entusiasta dell'opera, che giocò un ruolo di primo piano nell'aprire la strada alla cosiddetta commedia borghese. La commedia di Torelli non voleva approfondire drammi esistenziali o ritratti psicologici, ma si distingueva per la scorrevolezza e piacevolezza del testo, e per essere una vera e propria opera di “intrattenimento”. Da questo testo fu tratto un film di successo interpretato da importanti attori dell’epoca, quali Amedeo Nazzari e Chiara Calamai.
- I giganti della montagna
4
L’ultimo testo teatrale scritto da Luigi Pirandello, rimasto incompiuto, e qui pubblicato completo con gli appunti e i ricordi del figlio Stefano, che ne fece una ricostruzione fedele. In questo testo ricorrono alcuni dei temi cari al teatro pirandelliano: il teatro nel teatro, le maschere, l’essere e l’apparire. Tutto questo narrato attraverso le vicende di una compagnia teatrale che, rifugiatasi in una villa chiamata “La scalogna”, vuole mettere in scena una piece dal titolo “La favola del figlio cambiato”. Proprio il carattere incompiuto del testo ha mantenuto aperta la possibilità di proporne diverse versioni anche se gli appassionati di teatro non potranno mai dimenticare le regie di Giorgio Strehler che molto lo rappresentò al Piccolo Teatro di Milano, riscuotendo grandi successi anche in ambito internazionale. La cover del testo è, implicitamente, un omaggio a queste regie, proponendo una foto di scena che vede Andrea Jonasson nei panni di Ilse, durante la stagione 1993-94.
- L'annuncio a Maria
8
Risposte a domande di libertà “L’annuncio a Maria” di Paul Claudel è un’anomalia nel teatro europeo del Novecento: un testo di grandissima concentrazione poetica, ambientato in un Medioevo storicamente preciso e nel contempo indefinito. Un Medioevo dove regna una confusione in cui si rispecchia tutto il nostro presente: la crisi dell’economia, il disfacimento della società, la disgregazione delle evidenze anche più elementari. In questo orizzonte così lontano nel tempo eppure così vicino nei fatti, si svolge la vicenda dura, straordinaria e dolorosa di una famiglia: Anne Vercors, padre di famiglia, che sente su di sé il compito e quasi la responsabilità della propria felicità; la moglie Beth; le due figlie: Violaine e Mara, due personalità opposte eppure complementari, due posizioni diverse rispetto alla realtà delle cose, della vita – due risposte alla stessa domanda: «A che vale la vita, se non per essere data?». E ancora: il giovane Jacques, amato da entrambe, emblema del lavoratore; e Pierre di Craon, il costruttore di cattedrali: il genio santo e peccatore, paradigma dell’amore assoluto, di quel distacco che solo permette di vedere. “L’annuncio a Maria” è un mistero già a partire dal suo titolo, che non sembra avere riferimenti espliciti all’interno del testo. È un titolo, invece, che si spiega nelle dinamiche fondamentali dell’opera. Tutti i personaggi di questo dramma, infatti, s’imbattono in uno “scandalo”, in un fatto imprevisto e decisivo, rispetto al quale sono chiamati a dare una risposta – a prendere inesorabilmente posizione. L’annuncio a Maria è una tra le figurazioni più evidenti della grandezza e del mistero della libertà: si mette in scena il rapporto drammatico fra l’uomo e il suo destino. Ed è – qui come altrove – un rapporto storico, che si gioca nel qui e ora.
- Le miserie del signor Travetti
7
Il "Fantozzi" che è in ognuno di noi Il signor Travetti, commedia originariamente scritta in dialetto torinese - prima che Torino smettesse di essere la capitale d'Italia -, è il prototipo del dipendente grigio e ossequioso che vive in ognuno di noi. E' la parte che non ci piace far vedere ma che è sempre presente ed emerge con forza appena possibile. L'esistenza triste di Travetti (che diventerà, in francese, l'emblema del dipendente statale - M. Travet) viene sconvolta da una serie di eventi che potrebbero minare la sua onorabilità. A quel punto i soprusi non vengono più accettati, le lamentele della seconda moglie vengono contrastate con forza. Travetti entra in una nuova fase della sua vita, prendendo decisioni che cambieranno per sempre la sua vita e quella della della sua famiglia. Il testo fu rappresentato con grandissimo successo, ottenendo moltissime repliche, dando molta visibilità al suo autore. Una commedia che è attuale ancora oggi, e che ancora oggi ci può aiutare a comprendere meglio le relazioni di lavoro e famigliari.
- Il diritto di vivere
6
Il diritto di vivere ha consentito a Roberto Bracco (1861-1943), insieme alle altre sue opere, di essere messo nel novero degli autori concorrenti al Premio Nobel, nomina che non avvenne per l’opposizione del governo fascista. Autore di grandissimo successo in Italia e nel mondo, ebbe i suoi drammi messi in scena da Eleonora Duse, Irma ed Emma Gramatica. Il suo lavoro letterario fu in grado di stare alla pari con quello di Pirandello. Solo il regime fascista dell’epoca lo costrinse al silenzio, facendolo lentamente sparire dal panorama letterario. Anche per questo, oltre che per la bellezza dei suoi testi, Roberto Bracco meriterebbe una riscoperta e un nuovo, grande successo. Il diritto di vivere, scritto agli inizi del 1900, in un periodo nel quale il drammaturgo e commediografo napoletano riscontrò un enorme successo nazionale e internazionale sia nel pubblico che nella critica, si caratterizza per il forte realismo che non impedisce all’autore di ispezionare alla sua maniera la psicologia dei personaggi, contraddistinti da un profondo tormento interiore, oppressi come sono da dolori inestirpabili e indipendenti dalla loro condizione economica. Pur avendo nel tempo fatto registrare una diseguale accoglienza, tutte le opere di Bracco sono unite da un’identica forza trainante: il senso della giustizia che l’autore conservò per tutta la vita. L’autore: (Napoli 1861 - Sorrento 1943). Esercitò a lungo il giornalismo (dove aveva esordito giovanissimo, nel Corriere del mattino di Napoli), anche come critico drammatico e d'arte (Scritti vari, 1918-21); scrisse versi dialettali e novelle (Smorfie umane, 1906; Smorfie gaie, 1909; Smorfie tristi, 1909). Dei suoi molti lavori per il teatro, che ottennero largo successo e furono rappresentati anche all'estero, si raccomandano le commedie e i drammi dove l'originario naturalismo, spesso così crudo, e le ideologie sue e del tempo spesso esasperate secondo schemi ibseniani (I fantasmi, 1906; Il diritto di vivere, 1907, I pazzi, 1922;) riescono a temperarsi in un trepido psicologismo, in un'aura intimista, precorritrice del "teatro del silenzio".
- Assassinio nella cattedrale
9
Una via per conquistare vera umanità Quando nel 1935 T. S. Eliot scrisse Assassinio nella cattedrale tutti si sarebbero aspettati il dramma di un uomo che con la sua morte fosse rimasto nella storia. In realtà Thomas Becket sarebbe comunque passato alla storia anche se non fosse stato ucciso. Una carriera strepitosa sia civile che ecclesiastica lo avevano già incoronato come uno degli uomini più importanti del suo tempo. Ed era chiaro che a Eliot interessava un’altra cosa. Infatti sono poche le concessioni alla ricostruzione storiografica mentre abbiamo una minuziosa analisi dell’uomo: queste sono le caratteristiche di un dramma che ha come protagonista non una tipologia psicologica, ma un’umanità che si scopre sempre più viva mano a mano che la storia, non tanto la sua personale, ma quella solenne e sacra degli stati europei nascenti e del potere, mostrava il suo vero volto. Eliot coglie meglio di altri la vicenda di un uomo che è stato in grado di servire la società civile e la chiesa con lealtà senza quella dicotomia che è guarda caso la difficoltà più decisiva dell’uomo contemporaneo. Chi vince questa dicotomia è colui che ha imboccato la strada del suo destino. Thomas Becket fa parte di questa categoria speciale di uomini che lo sono fino in fondo proprio perché non hanno rinunciato alla loro umanità piena in tutte le circostanze che la realtà gli ha posto innanzi. Tale è la caratteristica dei santi uomini come noi, ma proprio per questo più uomini che mai. La vicenda narrata da Eliot assume i connotati di una conversione che diviene sempre più consapevole fino a chiedere con docilità e timore il martirio. Dopo la sua morte gli intrighi di palazzo e del potere non cesseranno, ma non cesserà neppure il culto rivolto al grande martire e la chiesa in Inghilterra uscirà rafforzata e più viva che mai. È di uomini così che ha bisogno l’uomo contemporaneo.
- Ubu Re
14
Come nasce un tiranno…. Padre Ubu: Miei buoni e cari amici, è giunto il momento di mettere a punto i piani per la cospirazione. Il mio parere è di avvelenare il Re mettendogli dell’arsenico nella colazione. Appena mangiato cadrà morto e io sarò re. Tutti: Che cialtrone! Padre Ubu: Ecché, non vi piace? Padre Ubu uccide il tiranno per farsi lui stesso tiranno; va alla guerra ma si nasconde; toglie ai ricchi, ma soprattutto toglie ai poveri, per farsi ancora più ricco. Padre Ubu può essere tutto e il contrario di tutto. Dall’iconico incipit all’altrettanto iconica frase conclusiva, venite a scoprire come Alfred Jarry, attraverso un racconto surreale e assurdo, ha creato una figura sempre attuale e senza tempo.
- La cena delle beffe
10
“La cena delle beffe”, è un’opera fondamentale del teatro italiano scritta dal drammaturgo Sem Benelli, e dalla quale ne è stata tratta un’opera lirica musicata da Umberto Giordano e un film (che fece scandalo per il primo famosissimo seno nudo della protagonista Clara Calamai) diretto da Alessandro Blasetti. La storia è ambientata nella Firenze rinascimentale e narra di un arrogante mercante, Neri Chiaramantesi che, unitamente a suo fratello Gabriello, perseguita con pesanti scherzi e provocazioni il mite Giannetto Malespini. Succede che Giannetto prende in moglie la bella Ginevra e Neri, che non ammette rivali neanche in amore, la possiede con la forza dinanzi a suo marito scaraventando il povero Giannetto nel fiume. La vendetta di Giannetto si consuma proprio in una cena che lui stesso organizza presso la sua abitazione invitando, quali commensali, Neri, Gabriello e l’autorevole Tornaquinci (una sorta di ministro degli interni di casa Medici). L’esito dell’infausta cena, dopo una serie di eventi che da quell’incontro saranno generati, porterà Neri alla follia, conseguenza del fatto che la sua mente rifiuta di accettare il fatto criminale commesso.
- Il tacchino
11
Un antidoto contro l’apatia Il tacchino rappresenta la più alta espressione artistica di Mrozek, autore polacco di nascita, ma europeo di elezione e cultura. I protagonisti sono alla ricerca disperata di qualcosa che incuta loro coraggio e speranza. Arte? Affetti? Routine? Uno dopo l’altro, vengono scartati tutti. “Scappare? Anche se si volesse non si saprebbe dove, le strade sono pessime, tutt’intorno un vero deserto”, dice il poeta. Contro questa abulia si difende Rodolfo, un giovane che, per amore, rapisce la ragazza scelta del duca per moglie. L’autore fa riferimento al marasma della vita nella Polonia staliniana (il testo è del 1960). Ma i riferimenti al “contemporaneo” non sono poi così difficili da individuare. In questo contesto, tragico e assurdo insieme, anche un tacchino, pur così regale, così sicuro dei propri successi, apprestandosi ad atti amorosi con belle ed opulenti galline, ne perde improvvisamente la voglia e abbandona il campo disgustato. “Ecco dove si cela il dramma, l’apatia, la ribellione contro la routine... Marasma e stasi. Mancanza di idee. Mancanza di una concezione generale, ecco cos’è”. Critica serrata e spietata di molteplici aspetti della vita in una democrazia popolare, come quando l’autore fa dire: “ognuno serve il duca come meglio può. Il contadino semina i campi, altri costruisce le strade e altri ancora fa la spia”. O quando fa dire al poeta: “Io continuo ad essere come la nave senza vele. Senza scopo, senza senso”. E respinge ogni speranza che la vita e le sue leggi elementari: amore, amicizia, lavoro, possano smuoverlo dalla stasi, dall’indifferenza. Atto di accusa contro il regime staliniano dell’epoca, sicuramente, ma non è mai troppo tardi, in qualsiasi momento storico, per bollare le ingiustizie, ridicolizzare assurdità purtroppo ben radicate, ammonire contro i pericoli di una sterilizzazione psichica sempre incombente. Sławomir Mrożek è stato uno scrittore e drammaturgo polacco; ha fatto parte del partito polacco “lavoratori uniti” durante il regime stalinista nella Repubblica Popolare Polacca ed ha lavorato tutta la vita come giornalista politico. Alla fine degli anni cinquanta, Mrożek esordisce come scrittore. Emigra prima in Francia e poi in Messico. Dopo 33 anni da esule per il mondo torna in Polonia alla fine degli anni ‘90 e si stabilisce a Cracovia.
- Mandragola Clizia Andria
12
Il Rinascimento fu l'età dell'oro della commedia italiana, anche grazie al recupero e alla traduzione nelle diverse lingue volgari, da parte degli umanisti di numerosi testi classici greci e latini (sia testi teatrali come le commedie di Plauto e Terenzio e le tragedie di Seneca che opere teoriche come la Poetica di Aristotele, tradotta per la prima volta in italiano dall'umanista Giorgio Valla nel 1498). Uno dei commediografi più rappresentativi del teatro rinascimentale è stato Niccolò Machiavelli che scrisse una delle commedie più importanti di questo periodo, Mandragola, caratterizzata da una carica espressiva e da una linfa inventiva difficilmente eguagliate in seguito, ispirata da riferimenti satirici alla realtà quotidiana dei personaggi e non più necessariamente legati ai tipi della tradizione classica. Clizia non è solamente un prodotto intellettuale, ma anche una proiezione autobiografica della relazione di Machiavelli con la cantante Barbara Raffacani Salutati. Per questo Nicomaco (di cui si sottolinea la non casuale similitudine tra il nome del protagonista e quello del commediografo) e il tema dell'amore senile risultano di gran lunga diversi rispetto alla visione tradizionale. In Andria, scritta sul modello di Publio Terenzio Afro, si narrano le vicende di un gruppo di personaggi alle prese con matrimoni, inganni e tradimenti. In unico volume tutto il teatro di Niccolò Machiavelli.
- Chitra - Il re della camera buia
13
Tagore ha dispiegato la sua arte nella letteratura, drammaturgia, poesia e filosofia. Si impegnò a creare una “nuova India”, moderna ed indipendente; si proponeva di conciliare la cultura occidentale con quella orientale: era un profondo conoscitore della lingua inglese e tradusse lui stesso le proprie opere in inglese. Esercitò un enorme fascino anche sul mondo occidentale, ricevendo il Premio Nobel per la letteratura nel 1913, diventando il primo Nobel letterario non occidentale nella storia del premio. Creò una scuola d'arte e di vita, La Visva Bharati University, che portò avanti fino alla fine della sua vita. Tagore è stato tradotto praticamente in tutte le lingue europee, risultando forse l'autore di origini bengalesi più noto in Occidente. Inoltre fece costruire strade, ospedali e anche una scuola, la quale è a tutt'oggi un'università. Dotato di illimitata energia si dedicò contemporaneamente ad attività culturali e sociali diverse: dette nuovo impulso alla drammaturgia ristrutturando il teatro e producendo drammi originali dove i temi portanti dei suoi testi sono quelli dell'amore, della solitudine umana di fronte alla prodigalità di Dio, espressa nell'infinita gamma di sentimenti che agitano perennemente il cuore dell'uomo, il percorso e la fede nella pratica religiosa brahmana e buddhista. Nei due testi presentati ritroviamo sapori e personaggi che ci aprono al mondo indiano, facendoci capire un po’ di quel mondo caleidoscopico e ricco di simbologia.
- Dialoghi delle carmelitane
15
Il conflitto tra religione e politica Il testo di Bernanos prende avvio da un dato storico: il 15 dicembre 1789 l’Assemblea Nazionale vietò a tutti gli ordini religiosi di pronunciare nuovi voti e molti conventi furono fatti sfollare. Questa sorte toccò anche alle carmelitane di Compiègne, piccolo borgo a nord est di Parigi, le quali nel 1792 furono obbligate ad andarsene dal convento e smettere gli abiti da religiose. Ma dato che il loro proponimento era quello di “vivere e morire da carmelitane”, si risolsero di continuare ad incontrarsi per pregare in comune, nonostante ciò fosse vietato. Così, divise in tre gruppi e alloggiate in abitazioni tra loro vicine, si trovavano quotidianamente per pregare di nascosto. Nel giugno del 1794 le carmelitane furono scoperte e arrestate «per aver tenuto conciliaboli antirivoluzionari, mantenuto corrispondenze fanatiche e conservato scritti liberticidi». Giunte davanti al tribunale rivoluzionario, la Madre Superiora cercò di addossarsi tutte le colpe, ma il suo tentativo fu vano. Dal tribunale furono subito fatte salire su un carro che le avrebbe condotte al patibolo. La riflessione di Bernanos guarda ai grandi temi dell'esistenza: la paura, la libertà, la morte, piuttosto che, come spesso viene registrato, il conflitto tra la religione e la politica. La Rivoluzione francese, per paradosso, diventa simbolo di trasformazione, piuttosto che esclusivamente un evento storico. Bernanos ci apre al dramma dell'uomo di fronte alla propria morte e nascita. E la sua paura. E il processo di liberazione dai sentimenti di paura incarnato da un personaggio, quello di Bianca de La Force. In questa figura, «l’incarnazione dell’angoscia umana posta di fronte a un’era che stava avanzando inesorabilmente verso la sua fine», si potrebbe vedere l'innocenza minacciata. Per lei la Passione, pur con diversi gradi di consapevolezza, è itinerario di tutti. Suor Bianca ci lascia con un impegno importante: «la preghiera è un dovere, il martirio una ricompensa. […] Non si muore mai ciascuno per sé, ma gli uni per gli altri, ed anche gli uni al posto degli altri».
- Marionette, che passione!
16
Un grande testo da riscoprire, leggere, gustare…. Marionette che Passione! è il titolo del lavoro del 1917 di Rosso di San Secondo che, sotto molti aspetti, anticipò Pirandello, il quale ne promosse la rappresentazione e divulgazione. La commedia fu pubblicata la prima volta dall'Editore Treves di Milano, nel 1918. Il 26 novembre 1918 ebbe luogo la prima rappresentazione romana al 'Teatro Argentina'. Dal titolo derivano i temi fondamentali del dramma: il tema della spersonalizzazione - collegato al concetto della morte -, e il tema dell'amore - passione, che funziona come se fosse un 'filo' che fa muovere i protagonisti. La passione per Rosso è una forza trascendente, un destino onnipotente e crudele. Domina gli esseri e li governa a proprio piacimento. La vicenda sviluppata da Rosso si svolge tutta in misura perfettamente aristotelica, come se fosse un dramma 'classico'. Rosso vuole rompere la struttura del teatro tradizionale: il copione è un libro da leggere, prima ancora di essere un testo da rappresentare. Le didascalie acquistano un valore fondamentale per l'intendimento dell'opera. Sono pagine di intensa poesia, la quale deve riflettersi necessariamente in tutto lo svolgimento dell'azione drammatica. Troviamo addirittura descrizioni lunghe e articolate, anche in senso retorico, che fanno da introduzione alle commedie o ne spezzano la trama recitata. La forma di un nuovo teatro, Rosso l'ha trovato nel teatro lirico: mescolando gli elementi della poesia con gli aspetti drammatici. I monologhi dei personaggi sono spesso patetici. Le strutture delle frasi, l'ordine diverso delle parole dal solito, le frasi incomplete rendono il testo poetico: più vicino alla poesia che ad un discorso.
- Come le foglie
17
Giuseppe Giacosa è una figura importante nel nostro panorama letterario: drammaturgo, scrittore e librettista (collabora con Illica per le tre celebri opere di Puccini) e sicuramente una store da riscoprire. In questa opera teatrale, che resta una delle migliori da lui scritte, torna all’intuizione felice del primo capolavoro (Tristi amori): il dramma esistenziale, lo scandaglio psicologico, ma anche il risvolto sociale. Siamo di nuove nel cuore della borghesia delle professioni della Padania, senza più le certezze esaltanti del self-made man compiaciuto della strada che ha percorso, e, anzi, con le prime inquietudini sul proprio destino, sulla capacità di continuare ad essere egemone. Giovanni, il borghese al centro del fallimento finanziario, si salva ma non è meno cattivo dei cattivi che si perdono. Giacosa applica la stessa tecnica di Tristi amori, fa emergere le contraddizioni del personaggio, i suoi lati oscuri, le ambiguità delle pulsioni profonde. Giovanni non impara nulla e ripete gli stessi errori. La famiglia torna a spendere più di quanto incassi, e Giovanni si inventa un secondo lavoro, che coltiva clandestinamente, per far fronte alle spese in eccesso. Si ripropone nel suo ruolo di emarginato bue da lavoro, tutto chiuso nella sua solitudine, ma in fondo contento. Giovanni dà molto in fatica, in denaro, perché non vuole dare nulla in attenzione psicologica, umana, affettiva. Dà tutto il tempo al lavoro, perché in realtà non ha tempo da dare alla famiglia, non ha nulla da dire e da comunicare. E’ un padre che ha disertato, che ha rinunciato a svolgere il ruolo di padre. In questo testo Giacosa – sperimentatore vero, costruisce un altro prototipo geniale e tutto diverso, quello del dramma corale, con molti personaggi protagonisti, fatto per smottamenti progressivi del dialogo, fondato su lunghi silenzi, i sussurri, i pianti improvvisi. Come Ibsen e Cechov, sebbene pochi se ne siano accorti, ad eccezione di Visconti, la cui messinscena bisognerebbe forse ristudiare.
- La industria y la suerte
351
La industria y la suerte es una de la muchas versiones del clásico personaje de Don Juan. En esta ocasión se trata de un Don Juan más sensible sorprendido en cierto modo del amor que le ofrece una dama. Aquí Juan Ruiz de Alarcón se mueve entre la tensión de los personajes con su orígenes sociales y la fuerza interior y la voluntad de cambio. En La industria y la suerte Ruiz de Alarcón se aparta por completo de la fórmula dramática de la Comedia Nueva. Su acción dramática se basa en los contrastes de protagonistas y villanos. Ruiz de Alarcón critica los vicios de la alta sociedad, los hidalgos vencen a los malévolos aristócratas y se casan con damas de una rígida alta sociedad. Esta obra muestra, una vez más, la dualidad de carácter que siempre demostró Ruiz de Alarcón. Aquí desarrolla, por primera vez en su teatro, a un galán poco ortodoxo: libre del dictado divino y guiado por su razón y su pensamiento. Las variadas acciones relatadas en La industria y la suerte crean una pieza única en la literatura de Ruiz de Alarcón, construyendo personajes trazados con profundidad.
- La discordia en los casados
412
Félix Lope de Vega y Carpio (Madrid, 1562-Madrid, 1635). España. Nació en una familia modesta, estudió con los jesuitas y no terminó la universidad en Alcalá de Henares, parece que por asuntos amorosos. Tras su ruptura con Elena Osorio (Filis en sus poemas), su gran amor de juventud, Lope escribió libelos contra la familia de ésta. Por ello fue procesado y desterrado en 1588, año en que se casó con Isabel de Urbina (Belisa). Pasó los dos primeros años en Valencia, y luego en Alba de Tormes, al servicio del duque de Alba. En 1594, tras fallecer su esposa y su hija, fue perdonado y volvió a Madrid. Allí tuvo una relación amorosa con una actriz, Micaela Luján (Camila Lucinda) con la que tuvo mucha descendencia, hecho que no impidió su segundo matrimonio, con Juana Guardo, del que nacieron dos hijos. Entonces era uno de los autores más populares y aclamados de la Corte. En 1605 entró al servicio del duque de Sessa como secretario, aunque también actuó como intermediario amoroso de éste. La desgracia marcó sus últimos años: Marta de Nevares una de sus últimas amantes quedó ciega en 1625, perdió la razón y murió en 1632. También murió su hijo Lope Félix. La soledad, el sufrimiento, la enfermedad, o los problemas económicos no le impidieron escribir.
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